Crocifissione di Viterbo

 
Olio su tavola
Metà del XVI secolo
Ambiente michelangiolesco
cm. 50 x 40
 
 

La Crocifissione è tradizionalmente attribuita a Michelangelo Buonarroti per gli elementi michelangioleschi dell’opera supportati dal testamento del conte Paolo Brunamonti che nel 1725, donandola ai gesuiti di S. Ignazio a Viterbo, la definisce “opera di Michelangelo Bonarota”.

La connessione con ambienti michelangioleschi è rintracciabile, oltre che dall’impianto dell’intero costrutto e dallo studio anatomico dei due ladroni, anche nell’analisi di alcuni elementi del paesaggio, in particolare delle due costruzioni visibili sulla parte destra del crocifisso nelle quali si identifica il complesso delle Terme del Bacucco, delle quali lo stesso Michelangelo ci lascia il disegno di un prospetto ed una pianta.

Pur constatando evidenti differenze stilistiche, oltre che di impostazione e scelta dei personaggi rappresentati, si può notare come la figura del S. Giovanni sia quella di più diretta derivazione dai modelli michelangioleschi in quanto, ricalcando gli stilemi del Venusti, riproduce il disegno del S. Giovanni a mani giunte, conservato presso il Museo del Louvre.

La più antica notizia di cui siamo a conoscenza deriva dall’analisi autoptica.

È infatti presente sul retro una scritta che reca la data del 20 giugno 1655 in riferimento ad un’indulgenza straordinaria concessa dal papa Alessandro VII Chigi.

Recenti studi hanno messo in relazione la tavoletta con quella citata in una lettera a Michelangelo da parte della marchesa di Pescara Vittoria Colonna che risiedeva in città.

Le analisi sulla “Crocifissione di Viterbo” della Prof.ssa Claudia Pelosi e della Prof.ssa Simona Rinaldi dell’Università della Tuscia, gli studi sull’abbigliamento della storica del costume Elisabetta Gnignera, gli approfondimenti del dott. Gianpaolo Serone di Archeoares sulle strutture archeologiche visibili sullo sfondo e il lavoro del dott. Antonio Rocca hanno permesso di chiarire meglio la storia di questa relazione tra la lettera e la tavoletta legandola al contesto culturale cittadino dell’epoca ed alla presenza degli spirituali a Viterbo.

 

BIBLIOGRAFIA

– B. MECHELLI, Museo Colle del Duomo, Viterbo 2000

– Testamento del Conte Paolo Brunamonti – Arch. Not. Vit, prot. 2 notaio Sebastiano Massarelli

– G. SIGNORELLI, Le chiese di Viterbo, Ms f.102

LIBRO DELLE MEMORIE DEL COLLEGIO DEI GESUITI ricorda che “addì 20 agosto 1725 morì il signor Paolo Brunamonti e lasciò al Collegio di Viterbo un piccolo quadro con cornice dorata che rappresenta sopra una tavola la Crocifissione di nostro Signore, S. Giov. E., S. Maria Maddalena a pie’ della Croce, opera bellissima del pennello di Michelangelo Buonarroti…”

 

APPROFONDIMENTO: SPIRITUALI - ECCLESIA VITERBENSIS

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THE SPIRITUALS – ECCLESIA VITERBIENSIS

In the early 16th century, Spanish theologist Juan de Valdés (1505 ca. – 1541) began to divulge his strong and original ideas about divine grace. Valdés claimed that grace was given by God to men, not for their merit, therefore for what they did in life, but for the trueness of their faith towards Christ's sacrifice, who made Himself man to give salvation. Considered too close to the Lutheran heresy's ideals, the Inquisition banned the Valdesian preaching and prosecuted the Spanish theologist and his disciples. Valdés' main meetings and conferences were held in Naples until he died in 1541. Since then, his major disciples, Sienese Capuchin Ochino (1487 – 1564) and scholar Flaminio (1498 – 1550), given their subversive charge, moved the propagation center of such, now too dangerous, ideas.

Sheltered by the noble and poet Vittoria Colonna (1490 or 1492 - 1547), Ochino was able to preach in the main Italian churches, getting known for his engaging prayers. Preaching that, however, forced him to flee to Switzerland in 1542: his departure showed how deep the fracture with the Institutional Church of Rome had become.

While Carafa, future Pope Paul IV, tried to ward off ideas similar to the Lutheran ones, Ochino was sending letters alluding to flight as the only mean of announcing the word directly, thus escaping the persecutors. An example could be the letter sent to the marquise of Pescara: [...] I could not but deny Christ or be crucified. The first one I would not do, the second one, yes, I would, with his gratitude, but when He will want me to. To die voluntarily, I do not have the spirit now. God will find me when He wants to. Christ taught me to flee several times, in Egypt [Mt 2 13] and other Samaritans [Lc 9 51-56], and so did Paulo, he told me to go to another city when I was not received in one [Mt 10 14 e 10 23]. What would I do more in Italy? To preach suspect and to preach Christ "mascarato in gergo"? And many times you have to curse Him to satisfy the superstition of the world. The other Valdesian disciple, Marcantonio Flaminio, became part of the following of the English cardinal Reginald Pole (1500 – 1558), cousin of King Henry VIII, from whom he fled because he opposed to, among other things, the wedding with Anne Boleyn. Named assets' Legatus, Pole moved to Viterbo, dragging in his whole court, author of new reformist theological hypotheses that had the intent to stem Protestant attacks against the Church of Rome. The ideas of the group, which saw among its participants also Vittoria Colonna, were held in the Beneficio di Cristo, a booklet anonymously printed in Venice in 1543, which had already circulated as a manuscript for at least two years.

Probably written by a Benedictine monk of Mantua and checked by Flaminio right in Viterbo, the Beneficio di Cristo clearly stated the idea according to which divine grace would be given to men through faith alone, although even what has been done in life can give faith truthfulness and value. The Church's mediation role and religious hierarchies were thus questioned. The aim was to change the Church, still too attached to temporal power. The questioning of the management of ecclesiastical benefits, and even of the total authority of the Pope, made the book be condemned in Trent in 1546. To reaffirm the Church of Rome's aversion to the new line of thought, the following year, during the Council of Trent, a decree that confirmed how salvation was founded both on faith and on the worthy value of works done in life was approved. As soon as the decree was approved, Reginald Pole, papal legate at the Council, left Trent with the excuse of physical indisposition, thus leaving the Curia as victorious in the clash against what went down in history as the Ecclesia Viterbiensis.

Agli inizi del XVI secolo, il teologo spagnolo Juan de Valdés (1505 ca. - 1541) iniziò a divulgare le sue idee forti e originali riguardo il tema della grazia divina.
Valdés affermava che la grazia veniva data da Dio agli uomini non per il loro merito, quindi per le opere fatte in vita, ma per la sincerità della fede nei confronti del sacrificio di Cristo, fattosi uomo per donare la salvezza[1]
Ritenuto troppo vicino agli ideali dell’eresia luterana, l’Inquisizione vietò i temi della predicazione valdesiana e perseguì il teologo spagnolo e i suoi discepoli poi.

Le principali riunioni e conferenze di Valdés si svolsero a Napoli fino alla morte del teologo, avvenuta nel 1541. Da quel momento in avanti, i suoi principali discepoli, il frate cappuccino senese Ochino (1487 - 1564) e il letterato Flaminio (1498 - 1550), spostarono il centro di propagazione di tali idee divenute ormai troppo pericolose, data la loro carica eversiva.

Protetto dalla nobile e poetessa Vittoria Colonna (1490 o 1492 - 1547), Ochino poté predicare nelle principali chiese italiane, diventando persino molto conosciuto per le sue coinvolgenti orazioni[2]. Predicazioni che tuttavia lo costrinsero a scappare nel 1542 in Svizzera: il suo allontanamento dimostrava quanto fosse divenuta profonda la frattura con la Chiesa istituzionale di Roma.

Mentre Carafa, futuro papa Paolo IV, cercava di allontanare le idee simili a quelle luterane, Ochino spediva missive in cui alludeva alla fuga come unico mezzo per annunciare la parola in maniera diretta, sottraendosi così ai persecutori. Un esempio è la missiva spedita alla marchesa di Pescara: [...] non potrei se non negar Christo o esser crocifisso. El primo non vorei fare, el secondo sì, con la sua gratia, ma quando lui vorrà Andar io alla morte voluntariamente, non ho questo spirito hora. Dio quando vorrà mi saprà trovar per tutto. Christo m’isegnò a fuggire più volte, in Egitto [Mt 2 13] et alli Samaritani [Lc 9 51-56], et così Paulo, immo mi disse che io andassi in altra città quando in una io non ero ricevuto [Mt 10 14 e 10 23]. Dapoi che farei più in Italia ? Predicar sospetto et predicar Christo mascarato in gergo ? Et molte volte bisogna bestemiarlo per satisfare alla superstitione del mondo[3]. Il secondo seguace valdesiano, Marcantonio Flaminio, entrò a far parte del seguito del cardinale inglese Reginald Pole (1500 - 1558), cugino del re Enrico VIII, dal quale era dovuto scappare per essersi opposto, tra le altre cose, al matrimonio con Anna Bolena[4]. Nominato Legato del patrimonio nel 1540, Pole si era trasferito a Viterbo, coinvolgendo anche tutta la sua corte, autrice di nuove ipotesi teologiche riformiste che avevano l’intento di arginare gli attacchi protestanti nei confronti della Chiesa di Roma. Le idee del gruppo, che vedeva tra i suoi partecipanti anche Vittoria Colonna, vennero racchiuse nel Beneficio di Cristo, un libretto stampato anonimo a Venezia nel 1543, ma che circolava già manoscritto da due anni almeno.

marcantonio flaminio di sebastiano del piombo

Ritratto di Marcantonio Flaminio di Sebastiano del Piombo

Scritto probabilmente da un monaco benedettino di Mantova, e rivisto da Flaminio proprio a Viterbo, il Beneficio di Cristo esprimeva chiaramente la convinzione secondo cui la grazia divina sarebbe data agli uomini per mezzo della sola fede, sebbene anche le opere possano dare veridicità e valore alla fede. Il ruolo di mediazione della Chiesa e le gerarchie ecclesiastiche venivano così messe in discussione. Si puntava a un mutamento della Chiesa, ancora troppo attaccata al potere temporale. La messa in discussione della gestione dei benefici ecclesiastici, e addirittura dell’autorità assoluta del papa, fecero sì che il libro venisse condannato a Trento nel 1546. Per ribadire l’avversione della Chiesa di Roma nei confronti della nuova linea di pensiero, l’anno successivo, durante il Concilio tridentino, venne approvato un decreto che ribadiva come la salvezza fosse fondata sia sulla fede che sul valore meritorio delle opere[5]. Appena venne approvato il decreto, Reginald Pole, Legato pontificio al Concilio, lasciò Trento con la scusa di un’indisposizione fisica, lasciando così la Curia vincitrice dello scontro contro quella che passò alla storia come l’Ecclesia Viterbiensis.

Testo redatto da Alessandra Cangiano


[1] A. Forcellino, Michelangelo: Una vita inquieta; Laterza, Bari - Roma 2005

[2] « Reprende eccellentissimamente como si deve, né guarda di dir tutto quello che sente ch’abbi ad essere per la salute de chi l’ode, et tocha principalmente li Capi ». in Vita e Gesti di Gio : Pietro Caraffa cioè di Paolo IIII Pont. Mass. Raccolti dal P. D. Antonio Caraccioli, in Roma 1613, Ms. Pal. 638della Biblioteca Palatina di Parma, c. 109v, cit. in G. Fragnito, Gli « spirituali » e la fuga di Bernardino Ochino, cap. IV del vol. Gasparo Contarini. Un magistrato veneziano al servizio della cristianità, Firenze, Olschki, 1988, p. 253 nota 7. (https://journals.openedition.org/italique/178?lang=it)

[3] Bernardino Ochino, I « Dialogi sette », p. 123.

[4] A. Forcellino, Michelangelo: Una vita inquieta; Laterza. Bari - Roma 2005

[5] ibidem

APPROFONDIMENTO: VITTORIA COLONNA, GLI SPIRITUALI E MICHELANGELO BUONARROTI

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VITTORIA COLONNA, THE SPIRITUALS AND AND MICHELANGELO BUONARROTI

Accused of being a heretic by the Roman Inquisition, Vittoria Colonna (1490 o 1492 – 1547), marquise of Pescara, was a leading figure in the Renaissance panorama. A poet and an educated woman, she followed the English cardinal Reginald Pole's ideas, who, in Viterbo (1541), gathered a group of intellectuals, known as Spirituals, which followed the Valdesian ideas. Taking refuge in Orvieto to avoid political tensions in Rome, she then moved to Viterbo as a guest of the nuns at the monastery of Saint Catherine, where she remained until November 1544. During her stay in the city, she had a relationship with several significant figures such as Michelangelo Buonarroti, but above all, she entered the circle of Pole. Although she never underwent a real inquisitorial trial, attending the Ecclesia Viterbiensis cost her the accusation of heresy. Along with the Marchionissa Piscariae filia spiritualis et discipula cardinalis Poli haeretici, all those who maintained a relationship with the circle and the marquise herself were considered heretics. Artists like Michelangelo were thus considered accomplices of the heretical thought only because, in certain letters written by the spirituals, the term "our" appears about the relationship that there was between them.

Between Vittoria Colonna and Michelangelo Buonarroti, there was friendship and mutual respect which led the two to send each other letters and works, but also assistance. To testify that is the interest with which Vittoria asked her friends to lend her glasses to help the artist's eye: the marquise asked to give Buonarroti Pole's glasses, waiting for the arrival of those requested in Venice.

Circa Michelangelo che non è gionto Gisberto troppo seria errore tuo, se ha mons.r niuna delle due cose, che scrivette, anzi è tanto minima cosa che me ne vorrei servire solo per XV giorni, finché fo venir l'altro da Venetia, maxime che non me ricordo bene, se è di monsignor o del Flaminio. cioè quel vetro verde, che venne da Venetia che'l vorrei far guernir bene con piede d'argento indorato et intorno per la vista nel dipingere, che se li fatica forte nella capella che fa di San Paulo; et sel Flaminio l'adopera, se vi par, non ne direte niente, me rimeto; se è de monsignor, mandatemelo poi con vostra comodità. Al comando vostro, La Marchesa de Pescara The marquise

Knowing that Buonarroti was working on a crucifix, asked him to show it to the gentlemen of the Most Reverend Cardinal of Mantua.

Cordialissimo mio signor Michelagnelo, ve prego me mandiate un poco il Crucifixo, se ben non è fornito, perché il vorria mostrare a' gentilhomini del reverendissimo cardinal de Mantua; et se voi non seti oggi in lavoro, potresti venir a parlarmi con vostra comodità. Al comando vostro, La marchesa de Pescara.

When she received it, Colonna asked the artist if he was helped by any disciple and wrote him that, if he had been the author, she would have kept it for some time.

Unico maestro Michelagnelo et mio singularissimo amico. Ho hauta la vostra et visto il crucifixo, il qual certamente ha crucifixe nella memoria mia quale altri picture viddi mai, né se pò veder più ben fatta, più viva et più finita imagine et certo io non potrei mai explicar quanto sottilmente et mirabilmente è fatta, per il che ho risoluta de non volerlo di man d'altri, et però chiaritemi, se questo è d'altri, patientia. Se è vostro, io in ogni modo vel torrei, ma in caso che non sia vostro et vogliate farlo fare a quel vostro, ci parlaremo prima, perché cognoscendo io la dificultà che ce è di imitarlo, più presto mi resolvo che colui faccia un'altra cosa che questa; ma se è il vostro questo, habbiate patientia che non son per tornarlo più. Io l'ho ben visto al lume et col vetro et col specchio, et non viddi mai la più finita cosa. Son al comandamento vostro, La Marchesa di Pescara Once he confirmed his artifact, Michelangelo stated that the work should have been a gift to the marquise herself, for which he complained to her for the delay in getting it back. Signiora marchesa, e' non par, sendo io in Roma, che gli achadessi lasciare il Crocifisso a messer Tomao e farlo mezzano fra Vostra Signoria e me, suo servo, acciò che io la serva, e massimo avend'io desiderato di far più per quella che per uomo che io conosciess mai al mondo; ma l'ochupatione grande in che io sono stato e sono non à lasciato conoscier questo a Vostra Signioria. E perché io so che la sa che amore non vuol maestro e che chi ama non dorme, manco manco achadeva ancora mezzi. E benché e' paressi che io non mi ricordassi, io facevo quello che io non dicevo, per g[i]ugniere con cosa non aspectata. È stato guasto el mio d[i]segnio. Mal fa chi tanta fé [si tosto oblia]'. Servidore di Vostra Signioria Michelagniolo Buonarroti in Roma

As Alessi points out, the marquise does not mention a work destined for her: Michelangelo could have used a simple trick to get the work back more quickly.

This shows how there has certainly been, from the historical and artistic point of view, a strong and interesting friendship between the two, but it is difficult to completely associate the Toscan artist with Spiritual thought. The Viterbo and the Renaissance history's interest and charm remain thus alive.

Ritratto della marchesa Vittoria Colonna di Sebastiano del Piombo, 1520 circa, Museo Nazionale d'Arte della Catalogna, Barcellona

Accusata dall’Inquisizione romana come eretica, Vittoria Colonna (1490 o 1492 - 1547), Marchesa di Pescara, fu una donna di spicco nel panorama rinascimentale. Poetessa e donna colta, seguì le idee del cardinale inglese Reginald Pole che a Viterbo (1541) aveva riunito attorno a sé un gruppo di intellettuali, noto col nome di Spirituali, che seguiva i concetti valdesiani.
Rifugiatasi a Orvieto per evitare tensioni politiche a Roma, si spostò poi a Viterbo, ospite delle suore del monastero di Santa Caterina, dove rimase fino al novembre del 1544.
Durante la sua permanenza in città intrattenne rapporti con diverse personalità di spicco come Michelangelo Buonarroti, ma soprattutto entrò nella cerchia di Pole. Sebbene non fu mai sottoposta a un reale processo inquisitoriale, la frequentazione con l’Ecclesia Viterbiensis, le costò l’accusa di eresia. Insieme alla Marchionissa Piscariae filia spiritualis et discipula cardinalis Poli haeretici[6], vennero giudicati eretici tutti coloro che intrattennero rapporti col circolo e con la Marchesa stessa. Artisti come Michelangelo vennero così considerati complici del pensiero eretico solo perché in certe lettere redatte dagli spirituali compare il termine “nostro” in riferimento al rapporto di conoscenza che a loro li legava[7].

 

reginald pole

Ritratto del Cardinale Reginald Pole, opera postuma di Willem van de Passe, 1620

Tra Vittoria Colonna e Michelangelo Buonarroti vi era un’amicizia e un reciproco rispetto che portò i due a mandarsi missive e opere, ma anche aiuti. A testimoniarlo è la sollecitudine con cui Vittoria chiese agli amici di prestarle gli occhiali per aiutare la vista dell’artista[8]: la Marchesa chiese di poter dare a Buonarroti gli occhiali di Pole, in attesa dell’arrivo dei vetri richiesti a Venezia.

Circa Michelangelo che non è gionto Gisberto troppo seria errore tuo, se ha mons.r niuna delle due cose, che scrivette, anzi è tanto minima cosa che me ne vorrei servire solo per XV giorni, finché fo venir l'altro da Venetia, maxime che non me ricordo bene, se è di monsignor o del Flaminio. cioè quel vetro verde, che venne da Venetia che'l vorrei far guernir bene con piede d'argento indorato et intorno per la vista nel dipingere, che se li fatica forte nella capella che fa di San Paulo; et sel Flaminio l'adopera, se vi par, non ne direte niente, me rimeto; se è de monsignor, mandatemelo poi con vostra comodità.

Al comando vostro,

La Marchesa de Pescara

La Marchesa, sapendo che Buonarroti stava lavorando su un crocifisso, glielo chiese per mostrarlo ai gentilhuomini del R.mo Cardinal de Mantua[9].

Cordialissimo mio signor Michelagnelo, ve prego me mandiate un poco il Crucifixo, se ben non è fornito, perché il vorria mostrare a' gentilhomini del reverendissimo cardinal de Mantua; et se voi non seti oggi in lavoro, potresti venir a parlarmi con vostra comodità.
Al comando vostro,

La marchesa de Pescara.

Quando lo ricevette, Colonna chiese all’artista se si fosse fatto aiutare da qualche altro alunno, e gli scrisse che, nel caso fosse stato lui l’autore, se lo sarebbe trattenuto del tempo.

Unico maestro Michelagnelo et mio singularissimo amico. Ho hauta la vostra et visto il crucifixo, il qual certamente ha crucifixe nella memoria mia quale altri picture viddi mai, né se pò veder più ben fatta, più viva et più finita imagine et certo io non potrei mai explicar quanto sottilmente et mirabilmente è fatta, per il che ho risoluta de non volerlo di man d'altri, et però chiaritemi, se questo è d'altri, patientia.

Se è vostro, io in ogni modo vel torrei, ma in caso che non sia vostro et vogliate farlo fare a quel vostro, ci parlaremo prima, perché cognoscendo io la dificultà che ce è di imitarlo, più presto mi resolvo che colui faccia un'altra cosa che questa; ma se è il vostro questo, habbiate patientia che non son per tornarlo più. Io l'ho ben visto al lume et col vetro et col specchio, et non viddi mai la più finita cosa.
Son al comandamento vostro,
La Marchesa di Pescara

Confermato il manufatto, Michelangelo afferma che quell’opera sarebbe dovuta andare in regalo alla Marchesa stessa, per cui si lamenta con lei del ritardo nel riaverla indietro.

Signiora marchesa, e’ non par, sendo io in Roma, che gli achadessi lasciare il Crocifisso a messer Tomao e farlo mezzano fra Vostra Signoria e me, suo servo, acciò che io la serva, e massimo avend’io desiderato di far più per quella che per uomo che io conosciess mai al mondo; ma l'ochupatione grande in che io sono stato e sono non à lasciato conoscier questo a Vostra Signioria. E perché io so che la sa che amore non vuol maestro e che chi ama non dorme, manco manco achadeva ancora mezzi. E benché e' paressi che io non mi ricordassi, io facevo quello che io non dicevo, per g[i]ugniere con cosa non aspectata. È stato guasto el mio d[i]segnio. Mal fa chi tanta fé [si tosto oblia]’.

Servidore di Vostra Signioria
Michelagniolo Buonarroti in Roma

Come precisa Alessi, la Marchesa non accenna a un’opera a lei destinata: quello di Michelangelo potrebbe essere un semplice escamotage per riavere l’opera indietro più rapidamente.

Ciò dimostra come tra i due vi sia stata sicuramente una forte amicizia, interessante dal punto di vista storico e artistico, ma risulta difficile avvicinare del tutto anche l’artista toscano al pensiero degli Spirituali.
Resta così vivo l’interesse e il fascino della storia rinascimentale religiosa e viterbese.

Testo redatto da Alessandra Cangiano


[6] A. Alessi, Sebastiano & Michelangelo nella Città dei Papi; Società Editrice Romana, Roma 2020

[7] ibidem

[8] A. Forcellino, Michelangelo: Una vita inquieta; Laterza. Bari - Roma 2005

[9] A. Alessi, Sebastiano & Michelangelo nella Città dei Papi; Società Editrice Romana, Roma 2020

Gli approfondimenti in questo articolo sono consultabili grazie al
"Progetto realizzato con il sostegno della Regione Lazio per Biblioteche, Musei e Archivi – Piano annuale 2022, L.R. 24/2019”

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