Sarcofago etrusco in terracotta

Terracotta
II sec. a.C.
cm. 189,5 x 47 x 47
 

 

I sarcofagi etruschi più caratteristici, e che più hanno influenzato l’immaginario popolare, sono sicuramente quelli con la copertura a klìne. Venivano realizzati in pietra (spesso in nenfro) o in terracotta.

Questo sarcofago proviene dalla vicinia Tuscania dove la produzione di sarcofagi fittili inizia dal III secolo a.C. e porta alla sostituzione di quelli in nenfro importati dalla vicina Tarquinia. Nel corso dei secoli la qualità della raffigurazione degrada sia nella cassa che nel coperchio.

In particolare nella cassa si passa da forme ricche di decorazioni a bassorilievo a casse lisce; le figure del coperchio, invece, perdono nella plasticità e anche nella raffigurazione del panneggio, sempre meno aderente alle forme del corpo a favore di una maggiore attenzione nella riproduzione delle fattezze del defunto. In questo caso la copertura di questo sarcofago è realizzata mediante la rappresentazione di una figura maschile, distesa su un klìne (una sorta di divano) con testata finale a “frontoncino” fra volute.

I capelli sono disposti a ciocche regolari intorno alla fronte distesa. La veste è una tunica a manica corta con il mantello passato sul capo. La datazione proposta è alla seconda metà del II secolo a.C.

 

APPROFONDIMENTO

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IL REIMPIEGO DI UN SARCOFAGO ETRUSCO NEL CIMITERO MEDIEVALE DELLA CATTEDRALE DI VITERBO: IPOTESI SULLA SEPOLTURA DI PAPA ALESSANDRO IV

Durante i lavori per la realizzazione del Museo Colle del Duomo di Viterbo, nel Luglio 1998, furono rinvenute alcune sepolture del tipo a logette in un passaggio prossimo all’abside minore sinistra della Cattedrale di San Lorenzo, la relazione degli archeologi documentò la presenza di due sarcofagi, uno vuoto e l’altro parzialmente svuotato, proprio in questa zona di passaggio. Un terzo sarcofago invece, era quasi completamente interrato mentre un quarto, era coperto dai resti di un pavimento di lastre di peperino, inglobato in strutture di età moderna.

Lo scavo portò altresì alla luce una serie di tombe terragne databili, sulla base di materiale ceramico rinvenuto, tra XVII e XVIII secolo. Queste presenze hanno portato alla conclusione che i sarcofagi a logette si trovassero in un contesto sepolcrale medievale, utilizzato poi in età moderna; tuttavia non è stato possibile stabilire una datazione certa dell’area cimiteriale.

Va considerato che l’uso di tali sepolture, generalmente scavate su banchi di roccia tenera ed emulate nelle forme anche nei sarcofagi dell’area di scavo, è ben attestato nel Lazio settentrionale probabilmente dal VI – VII fino il X – XI secolo. La funzione sepolcrale della zona è invece suffragata dalle fonti fino al XVI secolo, quando il cimitero fu chiuso; gli scavi hanno dimostrato che, almeno la zona indagata, mantenne la sua destinazione per tutto il XVIII secolo con la realizzazione delle tombe terragne e il riutilizzo dei sarcofagi in situ come ossari.

L’indagine archeologica si è concentrata in particolare sul sarcofago denominato T9 che, a differenza di altri, è il più antico: il reperto, in base alla sua morfologia, è riferibile alla tipologia Holztruhen, modello in uso alla fine del V secolo a.C. nella Tuscia rupestre e a Viterbo stessa; il coperchio del tipo a tetto displuviato e la cui parte superiore risulta abrasa, è un tratto abbastanza tipico di questo manufatto che non presenta altro tipo di elementi caratterizzanti.

La cassa poggia su quattro piedini e risulta molto lineare, senza cornici superiori o inferiori; è ricavato da un unico blocco di pietra e le sole lavorazioni sono delle specchiature presenti su tutti e quattro i lati che, tra l’altro conservano delle evidenti tracce di pittura rossa.

In base all’osservazione, supportata anche dal rilievo planimetrico dell’elemento, possiamo asserire che il sarcofago è un pezzo di reimpiego etrusco, probabilmente trasportato al Colle dalle necropoli vicine (Poggio Giudio o Castel d’Asso), escludendo così l’ipotesi che sia stato ritrovato in situ e successivamente riadattato, vista peraltro la mancanza di prove concrete di una necropoli etrusca sull’area.

La presenza di un sarcofago così antico con copertura pertinente, in un contesto cimiteriale medievale, fa supporre che possa essere stato riutilizzato per una destinazione importante, ovvero una sepoltura eminente, ipotesi rafforzata anche dall’analisi della planimetria prodotta nel 1998, nella quale il manufatto risulta isolato rispetto agli altri.

Il reperto costituisce senza dubbio un’anomalia rispetto al resto delle tombe le quali, presentano una lavorazione standardizzata e sono coeve l’una con l’altra; va considerato inoltre che l’oggetto, è stato riutilizzato come ossario, per questo la lettura del contesto originario può essere stata compromessa, insieme anche alla dispersione di un eventuale corredo funebre.

Sopra di esso si legge chiaramente un’apertura ora tamponata che, molto probabilmente, costituiva una porta di servizio (80 cm * 185 cm) al cimitero chiuso nel Cinquecento e che corrisponde al lato sinistro del transetto della cattedrale, ovvero la zona dove si identificava la cappella di San Protogenio e compagni; la tamponatura del passaggio è chiaramente leggibile anche sul muro interno alla chiesa.

Il culto di San Protogenio e degli altri Martiri presso San Lorenzo, risale al 1125 come attesta l’epigrafe – attualmente conservata presso il Museo Diocesano – che ne ricorda la traslazione dei corpi; nel 2003 durante i lavori per la sistemazione dell’organo, furono ritrovate nascoste tra le mura e avvolte in un panno, l’epigrafe appena menzionata e le reliquie dei martiri, il che porta a sostenere che sia effettivamente questa la zona dove, almeno dall’edificazione della cattedrale fra XII e XIII secolo, era consacrata la cappella.

Il fatto che il sarcofago si trovi nei pressi della cappella di San Protogenio e Compagni unitamente all’assenza di reperti simili, induce ad avanzare l’ipotesi che questo possa riferirsi alla sepoltura di papa Alessandro IV, al secolo Rinaldo dei signori di Jenne, detto anche dei conti di Jenne.

I documenti che attestano la localizzazione del sepolcro papale in questo punto, sono in totale tre: una bolla di Urbano IV successore di papa Alessandro, una pergamena dell’archivio della Cattedrale e gli Annales Angliae che si riferiscono alla sepoltura provvisoria di Enrico di Cornovaglia, presso il Duomo e “sepelitur inter duos Papas”, come sono il nostro Alessandro IV e Clemente IV; è evidente quindi che la memoria del luogo di sepoltura del papa persisteva fino al XIV-XV secolo, periodo cui si data la posizione più recente.

Nei secoli successivi, furono condotti alcuni tentativi per individuare il sepolcro pontificio e, il “mistero” della sua sparizione, fu alimentato soprattutto dalla storiografia locale di fine Ottocento; in particolare furono gli scritti di Francesco Cristofori a influenzare le ricerche, secondo lo storico il papa forse fu nascosto per evitare che le sue spoglie fossero trafugate e spostate, sia dai frati minori della chiesa di San Francesco, sia dalla frangia ghibellina, tanto combattuta in vita dal pontefice.

In particolare l’ipotesi dei frati minori, è avallata anche dallo storico locale Signorelli, il quale suppone che i canonici del Duomo avessero ben nascosto le spoglie papali per evitare una rivendicazione da parte dei Francescani, cosa che si verificò ai danni dei Domenicani per le spoglie di Clemente IV.

Nonostante le ipotesi di Cristofori siano state parzialmente screditate, a lui va comunque riconosciuto l’approccio pionieristico circa la ricerca sulle sepolture pontificie nella città di Viterbo, il suo lavoro, infatti, costituisce ancora oggi la base di partenza per qualsiasi approfondimento sull’argomento. Da tali studi emerge che la pratica di inumare i vescovi di Roma all’interno dei sarcofagi antichi e sotto terra, sia attestata dall’XI secolo e per tutto il secolo successivo, anche impiegando sarcofagi romani, tutt’oggi visibili.

La sepoltura a terra del papa, o meglio del suo sarcofago, può essere anche giustificata dal fatto che Rinaldo, durante il cardinalato e il successivo pontificato, fu protettore degli Ordini Mendicanti, in particolare quello dei Francescani dei quali condivideva principi e valori (ad esempio fu lui a canonizzare Santa Chiara nel 1255). Può essere però rilevata una discordanza circa la manifattura del reperto che è etrusca, piuttosto che romana e che non presenta altri possibili confronti.

A tal proposito però bisogna considerare che nel territorio di Viterbo, il reperimento di manufatti etruschi fosse di gran lunga più facile rispetto a quello di pezzi romani e perciò, tale discordanza, può essere giustificata tenendo conto proprio della maggiore disponibilità di questi elementi. La scelta di reimpiegare proprio questo sarcofago è coerente anche con il tipo di lavorazione, assolutamente sobria e lineare, e che potrebbe nuovamente riferirsi alla vicinanza del papa alla spiritualità francescana.

Anche la presenza delle già citate pitture potrebbe non essere casuale poiché il colore rosso rappresentava la dignità imperiale e furono molti i papi che, a partire da Innocenzo III (1198/1216), scelsero, di essere sepolti in sarcofagi o tombe realizzate in porfido o con pietre dello stesso colore. Benché questa tendenza si affievolì durante il XIII secolo, non si può ignorare che la scelta di un sarcofago decorato con specchiature rosse, non fosse dettata dall’esigenza di esaltare la dignità del defunto.

Non si può altresì escludere che la tomba di Alessandro fosse dotata di un apparato architettonico ma, qualora venisse accettata questa ipotesi, è improbabile che esso non sia mai ricordato né dalle fonti contemporanee né da quelle successive; di conseguenza bisognerebbe supporre che già dal XIII secolo il monumento non fosse più visibile o che non suscitasse più l’interesse dei compilatori. Quest’ultima osservazione troverebbe comparazione anche nei casi degli altri pontefici sepolti a Viterbo per i quali, ad eccezione di Clemente IV, è sempre ricordato il luogo di sepoltura ma non sono mai descritti monumenti che, almeno nel caso di Adriano V era ed è tuttora visibile.

Ponendo attenzione alle cronache cittadine, e in particolare a quella redatta da Nicolò della Tuccia (1400-1473/74), non troviamo da parte sua nessun riferimento alla sepoltura di Alessandro IV mentre viene specificata la nuova collocazione della tomba di papa Giovanni XXI che, “in sacello Ilarii et Valentinii”, viene spostata presso l’altare maggiore; è lecito ipotizzare quindi che, già i tempi del cronista viterbese, non si avesse più memoria della tomba del pontefice e probabilmente neanche del luogo in cui era stato sepolto. Considerando il silenzio di della Tuccia circa il sepolcro di Alessandro IV, si può a ragione escludere che l’ipotetico monumento pontificio sia stato smontato o distrutto durante i lavori promossi nel 1490 dal vescovo Settala o durante le ristrutturazioni promosse e realizzate dal Cardinal De Gambara fra il 1568 e il 1570.

Inoltre, considerando la contemporaneità del cronista con i lavori degli anni sessanta del Quattrocento, risulta anomalo che egli non menzioni l’esistenza, lo smontaggio o lo spostamento di un eventuale monumento e neanche la memoria del luogo della giacitura di un papa. Ciò porta a supporre che la sparizione dell’ipotetico apparato decorativo della tomba e della memoria sepolcrale, possano riferirsi a un periodo precedente alla seconda metà del Quattrocento o, molto più prosaicamente il monumento potrebbe non essere mai esistito.

Allo stato attuale delle ricerche quest’ultima supposizione appare la più plausibile, rifacendoci alle fonti sopra analizzate, infatti, non si fa mai menzione a una struttura sepolcrale e anche la terminologia utilizzata dai compilatori lascia spazio a pochi dubbi. Si fa Infatti sempre solo accenno al papa sepolto in cattedrale presso l’altare di San Protogenio e Compagni e mai a un monumento pertinente: siamo perciò di fronte a un classico caso di sepoltura ad sanctos dove il sarcofago è posizionato presso il sacello dei Martiri a stretto contatto con le preziose reliquie.

La scelta di questa specifica cappella non dovrebbe essere considerata casuale, la devozione ai Martiri ed in particolare a Protogenio, a cui era dedicato anche un ospedale che si trovava in corrispondenza dell’ingresso al ponte del Duomo, era infatti molto viva in città e la cappella a loro dedicata costituisce la testimonianza più antica di un culto martiriale presso la chiesa di San Lorenzo già un secolo e mezzo prima della sua elevazione a Cattedrale. Da quanto scritto perciò, la strada più percorribile sembra escludere la presenza di un monumento sepolcrale.

Le indagini più recenti sono state condotte nel 2010, da un’équipe multidisciplinare di ricercatori coordinata dal dott. Alberto Pichardo Gallardo, archeologo e direttore dell’Istituto Alessandro IV di Viterbo, tramite sistemi innovativi (georadar, metodo magnetico, metodo elettromagnetico nel dominio del tempo, metal detector ad alta risoluzione, metodo elettromagnetico del dominio della frequenza, tomografia elettrica, sistema micro gravimetrico, prove soniche, indagine sistematica tomografica), l’intento originario era quello di analizzare l’interno del Duomo allo scopo di individuare eventuali anomalie riferibili alla sepoltura pontificia ma successivamente, l’indagine si è estesa su tutta l’area del Colle del Duomo.

L’attività di ricerca continua ancora oggi con l’utilizzo di nuove tecnologie e, a breve, saranno pubblicati i risultati definitivi utilissimi per monitorare interventi di conservazione dell’edificio e per programmare future campagne di scavo.

La sparizione della sepoltura pontificia la cui ubicazione, e bene ricordarlo cioè nota da tre documenti databili tra la metà del XIII e la prima metà del XV secolo, non deve meravigliare poiché non costituisce l’unico caso documentato per il duomo di Viterbo: nel tredicesimo secolo Infatti si procedette alla sistemazione delle sepolture di diversi personaggi fra tutti quella dei Papi Clemente IV, il nostro Alessandro IV e Giovanni XXI, quella del nipote del re d’Inghilterra Enrico di Cornovaglia e quella di Simone Paltinieri, cardinale presbitero di San Martino.

Fatta eccezione per il sepolcro del papa portoghese, tutte le altre sepolture e gli altri ipotetici monumenti funebri presenti sono scomparsi e, a oggi non ne rimane assolutamente traccia: siamo quindi indotti a pensare che in diversi periodi della storia del Duomo siano stati tutti rimossi perché non ritenuti importanti o degni di essere conservati.

Concludendo possiamo affermare che, sebbene tutto il ragionamento sistematico resti nel campo delle ipotesi, si può da questo partire per proporre nuovi scenari sulla storia della cattedrale e della città di Viterbo, andando a porre un tassello importante per la storia delle sepolture pontificie in epoca medievale.

Sarebbe comunque necessario avviare un’importante campagna di scavo per indagare puntualmente tutta l’area del Colle del Duomo e la speranza è che questo lavoro possa contribuire a risvegliare l’interesse per il luogo che vide la nascita di quello che, fra XII e XIII secolo, diverrà un potente comune medievale che estenderà la sua egemonia su tutta l’attuale provincia di Viterbo.

Gli approfondimenti in questo articolo sono consultabili grazie al
“Progetto realizzato con il sostegno della Regione Lazio per Biblioteche, Musei e Archivi – Piano annuale 2023, L.R. 24/2019”

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