Calice di Canepina

Argento dorato
XV secolo

 

Il calice mostra una tipica forma conica molto svasata e, conformemente ai canoni liturgici, la coppa è in argento dorato in quanto doveva contenere il sangue di Cristo.
Nella parte centrale del fusto sono ancora presenti i chiodi trecenteschi terminanti con placchette decorate a smalto. Nella sottocoppa troviamo teste di cherubini alati, una delle quali è capovolta, sbalzate secondo un gusto che non è quello tipico del XV secolo e che potrebbe far pensare a un rifacimento successivo. Il piede, in genere esagonale, è ricoperto da una fitta decorazione a sbalzo e cesello a motivi vegetali che incorniciano piccole formelle dove si trovano ancora piccole figure di santi e lo stemma del committente a forma di scudo, suddiviso in due pari orizzontalmente, con quattro croci nella fascia superiore, e tre in quella inferiore. Il punto di connessione tra il piede e il nodo è molto impreciso: il nodo si innesta di traverso sul piede coprendo in parte alcune delle placchette tra le quali quella con lo stemma del probabile committente.
Sulla base mistilinea sono presenti sei medaglioni entro i quali sono raffigurati Santa Felicita, Cristo Crocifisso, San Giovanni, Santa Barbara, la Vergine e un’altra santa con la palma del martirio e un libro. Le figure, ben condotte ad incisione, dovevano contenere smalti di cui oggi non resta il benché minimo frammento. Nel nodo con fondo decorato a motivi vegetali entro sei medaglioni esagonali e fortemente rilevanti sono le figure di Cristo in Pietà, un santo vescovo, San Sebastiano, San Paolo, Sant’ Antonio e San Pietro.
Gli esempi quattrocenteschi di calici che ci offrono Roma e il Lazio in generale, ci ripropongono una tipologia a cui tutti o quasi sembrano uniformarsi e prendere a modello: si tratta del prototipo realizzato dal senese Guccio di Rannaia per conto di Niccolò IV per la Basilica di San Francesco ad Assisi. All’interno di questa tipologia ricade anche il calice di Canepina.
Nella storia dell’oreficeria sacra, questo calice rappresenta l’esempio per tutti gli orafi fino agli inizi del Cinquecento.
Nel calice di Canepina vanno evidenziati alcuni aspetti nuovi, come la struttura e l’impiego di smalti traslucidi che Siena aveva importato dalla miniatura francese. L’arcaica pianta ottagonale polilobata, tipica ancora dell’Italia del nord, viene abbandonata.
La diffusione di questo nuovo modello si deve alla precoce attività degli orafi senesi fuori dalla patria, anche in paesi lontani. Nel Lazio gli esempi più numerosi si trovano nel territorio viterbese, geograficamente vicino all’area culturale senese.
Purtroppo lo stemma del committente non è stato identificato: si possono fare solo delle supposizioni che lo potrebbero vedere o legato ad un nome di una famiglia importante di Canepina, o a una confraternita presente presso la chiesa dell’Annunziata.
Le fonti ignorano l’erezione della chiesa di Santa Maria Assunta. Ciprini ipotizza che l’erezione della chiesa sia avvenuta intorno all’VIII secolo e da allora i sacerdoti di Canepina ebbero assegnati i beni della Collegiata. Tuttavia dobbiamo sottolineare l’assenza di documenti certi che possano garantire la costruzione della Collegiata nell’VIII secolo e dunque non si può sposare con certezza l’opinione di Ciprini. Il primo documento certo relativo alla Collegiata è un testamento del 1348, che viene fatto dal canepinese Tuccio Transanelli il quale lasciò alla chiesa di S. Maria di Canepina, nella quale desiderava essere sepolto, anche dei soldi per il restauro della chiesa. Tra gli altri documenti di particolare interesse va menzionato un documento che riporta una visita effettuata nel 1571, dove vi è scritto “visitavit ecclesiam Sanctae Mariae, matricem et parrochialem”.
Altro documento interessante risale al 3 giugno del 1859, quando Canepina, dalla diocesi di Orte e Civita Castellana, venne aggregata a quella di Viterbo, che la prese effettivamente in consegna il 3 dicembre 1872, quando il vescovo Serafini, nella sua visita pastorale alla diocesi di Viterbo, vi si recò ottenendo dal capitolo di Sant’Angelo di Viterbo, per la sua chiesa collegiata parte della reliquia di Santa Corona.

 

BIBLIOGRAFIA

– Luisa Scalabroni, Il Quattrocento a Viterbo. Museo civico 11 giugno- 10 settembre 1983, De Luca Editore 1983. L’oreficeria pp. 359-360; 364-367
Il Quattrocento a Roma, la Rinascita delle Arti da Donatello a Perugino (catalogo mostra 2008, Skira)
– M. Andaloro, Tesori d’arte sacra, 1975 ,num.64, p. 30
– Q. Galli, Studi e documenti per la storia di Canepina, volume I, Viterbo-Agnesotti, 1990, p. 113
– G. Ciprini, Canepina, frammenti di storia, testimonianze di fede, Viterbo, 1995, p. 19
– G. Oddi, Le Arti in Viterbo, appunti storici letti dall’avvocato Giuseppe Oddi alla società di mutuo soccorso, Viterbo, 1882. p. 57

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